Ormai gioco a golf da circa 25 anni e vi posso assicurare che quando iniziai, nel mezzo degli anni 80, la situazione in Italia era diversa da quella odierna. Vorrei raccontarvi il mio punto di vista sul golf di allora, in particolare lato circoli, visto che potrebbe essere un buon punto di partenza per comprendere alcune situazioni di oggi.
Negli anni 80 il golf in Italia era sicuramente uno sport d’elite, pochi circoli, quasi tutti celati alla vista della gente e poco pubblicizzati. Io ho iniziato non perchè figlio di golfisti, ma come caddie, infatti portavo le sacche in estate al circolo di Cervinia, dove trascorrevo le vacanze. Poi la passione sbocciò e fui in grado di assecondarla anche grazie all’Avv. Beninato, allora presidente del circolo che mi permise di fatto di giocare a gratis. Viceversa mio padre non mi avrebbe iscritto e probabilmente io non sarei quindi qui ad annoiarvi con i miei post. 😛
Ma tornando alla mia fotografia dei circoli di quegli anni posso dirvi che la stragrande maggioranza sorse con una struttura doppia:
Nella maggior parte dei casi per farsi socio in un circolo di golf era necessario essere azionisti dell’immobiliare e poi pagare una quota annuale per essere soci di quella sportiva. Ecco perchè era un gioco d’elite, i costi annuali alti, ma soprattutto dover impegnare milioni di vecchie lire solo per poter aver diritto ad associarsi. Fate conto che in noto circolo di Milano, del quale non farò il nome, per poter giocare un adulto doveva avere quote azionarie per circa 25 milioni. Ora le stesse quote valgono…. nulla.
Ma il vero problema di quegli anni era la direzione di un circolo. Essendo costruiti su “associazioni” di persone spesso e volentieri alla guida di un circolo c’era un gruppo di soci, che non avevano competenze specifiche, non avevano sufficiente tempo e spesso neanche voglia di mettersi a curare gli interessi del circolo. Immaginate in questo clima quanto potesse esser difficile promuovere il golf. Nei consigli direttivi gli argomenti più importanti rischiavano di essere il colore delle tovaglie del ristorante o come impedire che un tizio riuscisse a vincere altre gare. I segretari dei circoli, quelli competenti e volenterosi, nulla potevano contro un consiglio al quale spettava comunque la decisione finale.
La situazione descritta sopra è generica, senza nulla togliere a quei pochi casi isolati gestiti con professionalità ed interesse.
Poi per fortuna le cose iniziarono a cambiare, in modo a volte spontaneo, forse anche “grazie” alla crisi. Infatti alcuni iniziarono a vedere il golf come un’impresa nella quale dover fare investimenti oculati e soprattutto iniziando a mettere i circoli nelle mani di professionisti con competenze specifiche. La crisi, come dicevo, ha fatto sentire la mancanza di soci e quindi di entrate sicure per i circoli, obbligandoli a cercare di avere un gettito più elevato da altre voci, vedi i green-fee.
A mio avviso il vero problema del golf in Italia sono appunto i circoli, troppi rispetto al numero di golfisti e soprattutto tutti posizionati più o meno nello stesso settore, senza che ci sia una reale differenziazione di offerta. Noi abbiamo solo circoli che “vorrebbero” essere privati e sono organizzati come tali, manchiamo invece di circoli pubblici o anche solo di circoli impresa. Sono queste ultime 2 categorie che a mio avviso potrebbero dare una svolta alla crescita del golf. I circoli di oggi sono tutti dal medio bello al bellissimo, come strutture, vedi club house, e come manutenzione campo. Questo fa si che i costi di manutenzione sia per forza di cose alti e non potente riempire il golf con 500 o più persone al giorno non vi è modo di ammortizzare i costi ed offrire i propri servizi a prezzi diversi da quelli di oggi.
La soluzione potrebbe essere quella di costruire campi con meno pretese di movimenti e di tappeto erboso che possano rendere la struttura meno costosa da mantenere e quindi che possa offrire green-fee ed abbonamenti a prezzi inferiori.
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